L’editoria indipendente si è incontrata a ElbaBook

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Tre giorni di incontri, tavole rotonde, concerti e presentazioni hanno vivacizzato il borgo di Rio all’isola d’Elba. E si è parlato anche di self-publishing.

 

Ormai è quasi un luogo comune: in Italia quasi tutti scrivono e pochi leggono.
Però gli eventi dedicati ai libri riscuotono sempre un gran successo.
È accaduto anche con ElbaBook-il primo festival isolano dell’editoria indipendente- che si tenuto a Rio nell’Elba dal 29 al 31 luglio. Gli organizzatori avevano annunciato: «tre giorni di incontri, tavole rotonde, concerti e presentazioni per portare allaconcerto-in-vicolo-zambelli ribalta le piccole realtà editoriali e disegnare strategie per la valorizzazione delle case editrici piccole e medie, della "bibliodiversità" e per la tutela del lavoro».E i numeri hanno superato le aspettative: circa 2mila partecipanti, prevalentemente elbani, ma anche qualche famiglia tedesca; 24 case editrici; 23 relatori; 20 presentazioni con gli autori, 2 tavole rotonde a tema, 2 concerti e 1 docufilm nel teatro di Rio. Il tutto distribuito in 5 location, ovviamente i luoghi più caratteristici del borgo.
Certo è che a Rio Elba si respirava un’aria molto piacevole e la cittadina si è risvegliata dal torpore estivo, si è divertita e ha conosciuto svariati autori di qualità con le loro pagine al seguito. Il merito di tutto ciò è sicuramente del mix di case editrici sparpagliate per tutto il paese, autori e critici, concerti jazz illuminati di viola davanti al duomo, dispiegamento per i vicoli dei produttori enogastronomici che hanno fatto assaggiare il frutto del loro lavoro.

Si è parlato anche di Self-publishing

Il fenomeno del momento non poteva mancare a ElbaBook.
Di self-publishing si è trattato durante le due tavole rotonde che hanno raccolto la maggiore partecipazione.
Con la prima, Digitale vs Cartaceo, il blogger
Alberto Forni ha spiegato che «è uno strumento potente ora utilizzato in maniera limitata e, sebbene si contesti il livello di quello che propone, alcuni i titoli emersi anche oltreoceano sono di qualità. Il confine tra cartaceo e digitale è assai labile, se consideriamo lo spessore di Cinquanta sfumature di grigio. Il problema è una promozione utile ai contenuti, alla sostanza – ha puntualizzato – Si definisce self-publisher chi pubblica se stesso; ma nell’uso anglosassone è assai più responsabilizzante, siccome scrivi un testo, lo editi, gli attribuisci una veste grafica e, infine, lo promuovi».

Allora qual è la partita che si gioca il libro? È quella di intercettare determinate sensibilità e amplificarle; perciò l’importante è che comunque venga pubblicato, se chi lo ha scritto pensa che possa andare a intercettare queste sensibilità.

In un periodo in cui “si fa con quello che c’è”, ha afferrato con coerenza il nocciolo della questione lo scrittore Francesco la-platea-a-elabookForlani che, cofondatore di “Nazione Indiana”, ha paragonato il volontariato di statuto del famoso litblog alla libertà ricercata dal filosofo Schwarz quando si auto-pubblicava le riflessioni maturate in un eremo.
Non a caso, l’Eremo di Santa Caterina è il cuore pulsante della cultura internazionale a Rio nell’Elba e proprio da lì si è innestato nella direzione artistica il concetto propulsore di ElbaBook Festival. «Credo nella gratuità del libro, ma di più, delle idee – ha affermato Forlani – e bisognerebbe piratare il sapere».

Invece, con il secondo dibattito, Grandi gruppi editoriali e grande distribuzione: misure a tutela dei piccoli editori, è stato incisivo Giulio Milani di Transeuropa, uno degli editori più indipendenti della Toscana. «Prima che venissimo travolti dalla crisi scatenata dalla bolla di speculazione Pde avevo undici collaboratori alle mie dipendenze. Ed era il periodo in cui facevamo meno ricerca sebbene specializzati in scouting autoriale, perché  l’onda commerciale era favorevole. Il nostro proposito è sempre stato quello di insegnare una linea stilistica, mettendo anche a disposizione tempo non remunerato e cercando di aprire alle nuove promesse una strada verso editori più grandi».
Secondo Milani, non si tratta di volontariato, ma di un sistema editoriale che è franato nel momento in cui è venuta a mancare la figura professionale del curatore di collana, che garantiva un canone dalle accademie e dai salotti. E ha prevalso il business man. «I gruppi egemoni – ha concluso Milani – oggi non fanno più ricerca perché troppo costosa. Mondadori, cavalcando il boom del self-publishing ha messo qualcuno a sondare, a dragare questo terreno per individuare magari qualche talento da poi ricucinare e vendere sul mercato nazionale».

E visto come è andato il primo ElbaBook, siamo certi che gli organizzatori stanno già pensando all’edizione del 2016.
MZ

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