Perché non si parla degli indie?

L’ennesimo studio che ha ignorato gli autori indipendenti, ha suscitato una reazione a catena. Ho deciso di proporvi un po’ di commenti raccolti tra i self.

 

Tutto ha avuto inizio con la pubblicazione di uno studio di Nomisma sulle vendite delle librerie indipendenti, presentato lo scorso 29 giugno nell’ambito del convegno “Librerie indipendenti, presidio culturale e cuore pulsante di città e centri storici”.
L’analisi ha preso in esame il mercato dell’editoria con dati di vendita, pubblicazione e lettura, evidenziando il ruolo delle librerie indipendenti in Emilia-Romagna coinvolgendo parallelamente lettori, librerie del territorio e opinion leader del settore.
Ovviamente gli “indie” non sono stati mai citati e questo ha suscitato l’indignazione di Elisabetta Flumeri che mi ha taggata in un post su Facebook in cui ha scritto:
Una domanda che vorrei rivolgere a chi stila classifiche e riporta dati ‘ufficiali’ sulla produzione di libri: non pensate che ignorare sistematicamente gli autori indie (leggi autopubblicati) e i loro lettori falsi questi dati?”
La coppia Flumeri&Giacometti è molto famosa tra gli autori indipendenti per il successo dei loro gialli.

Il post ha avuto numerosi commenti, così ho deciso di riportarli in questa mini-inchiesta, coinvolgendo anche altri autori self.
Da osservatrice del mercato dell’editoria e in particolare di quella digitale, concordo: gli autori indie continuano a essere valutati di serie B e a essere ignorati dagli studi e da molti giornalisti, blogger e influencer. Per fortuna sono decisamente considerati dai lettori, infatti i libri dei self vendono bene e spesso li troviamo nelle classifiche dei siti di vendita online. Classifiche che sono regolarmente consultate dalle case editrici per le loro operazioni di scouting.
Niente di nuovo sotto il sole, tutto rientra nella solita ipocrisia del Bel Paese.

Ed ora i commenti e le riflessioni delle amiche e degli amici indie, iniziando da Elisabetta Flumeri: «Ogni volta che leggo un articolo che riporta dati e classifiche sulla produzione di libri e sul pubblico dei lettori, c’è sempre una domanda che vorrei fare a chi stila queste classifiche e fornisce questi dati: non pensate che ignorare sistematicamente gli autori indie (leggi autopubblicati) e i loro lettori offra una visione distorta di come stanno veramente le cose? Al di là della difficoltà nel reperire i dati che viene usata come giustificazione, a mio avviso esiste una forte pregiudiziale che continua a considerare gli indie come scrittori amatoriali della domenica, senza tener conto che le vendite di alcuni di loro superano di gran lunga la media di quelle Elisabetta Flumeri e Gabriella Giacomettidi molti autori presenti in libreria, anche pubblicati da note case editrici».

E Gabriella Giacometti aggiunge: «Se è vero che Amazon non permette di accedere, per motivi di privacy, ai dati di vendita degli autori indie che si autopubblicano sulla piattaforma, perché non chiedere proprio a questi autori il rendiconto delle loro vendite? In questo modo si potrebbe ottenere un quadro più veritiero e completo non solo delle vendite ma anche del pubblico di lettori che, ad esempio, utilizza l’abbonamento proposto dalla piattaforma kdp di Amazon. Solo per fare un esempio, la nostra serie gialla di Emma&Kate, ideata con Giulia Beyman e Paola Gianinetto, arrivata al nono libro ha venduto più di centomila copie, quello che ogni editore reputerebbe un indubbio successo».

 

Mentre Giulia Beyman sottolinea: «Purtroppo gli autori indipendenti non hanno (ancora?) nemmeno l’ombra della credibilità che viene data, per esempio, ai musicisti indipendenti, o ai film indipendenti che nascono senza una grande casa di produzione … La maggior parte delle personeGiulia Bayman ancora nemmeno distingue il self-publishing dall’editoria a pagamento. Detto questo, dati su libri e autori Indie in giro non se ne vedono (tanto è vero che continuano a essere i grandi assenti delle classifiche ufficiali…) Il che mi fa pensare che questi dati: o non sono diffusi a monte (per esempio da Amazon che più di tutti ha la chiave della consistenza del fenomeno) o gli “addetti ai lavori” nemmeno li cercano, perché non interessati…».

 

Simona Fruzzetti non ha dubbi: «Sì, i dati sono falsati, l'articolo avrebbe dovuto coinvolgere tutti i canali di vendita e non solo le Simona Fruzzettilibrerie. Infatti, citano gialli e thriller come acquisti più frequenti quando è sotto gli occhi di tutti un'altra realtà: è il romance a spostare l'asticella. Questo genere, soprattutto in self, fa dei numeri da paura. Per dati più veritieri bisognerebbe fare un controllo incrociato, informarsi sui canali giusti e 'scendere in campo', solo così la stima potrebbe essere un pochino più fedele. Detto ciò: buona scrittura amici cari».

 

 

Laura Rocca sottolinea cosa non funziona: «Fare una statistica con dati parziali, escludendo tutto il resto eccetto le librerie indipendenti, non ha molto senso. È come se io domani dicessi: “Le donne italiane amano il curry”, ma poi avessi inviato il sondaggio solo alle donne di Milano.
L'ufficio studi AIE ha dichiarato che, nel 2022, le librerie online hanno venduto nei primi sei mesi libri per 284,8 milioni: un calo di 43 milioni rispetto all’anno precedente, in buona parte recuperata dalle librerie fisiche che hanno incrementato le vendite a 353,8 milioni, 21 milioni in più.Laura Rocca
Quindi vuol dire che si è visto un aumento di vendite nelle librerie fisiche rispetto al mercato online, dato in netto contrasto con questa statistica.
Mi dispiace molto se le librerie indipendenti navigano in cattive acque, è sempre bello uscire di casa e trovare anche la piccola libreria di quartiere. Si tratta di un esercizio che, poco per volta, si sta estinguendo e non è certo bello, ma c'è anche da considerare un altro punto di vista. Queste librerie, spesso, vendono solo libri di nicchia ristretta, titoli che difficilmente attraggono un grande flusso di acquirenti e, inoltre, rifiutano categoricamente ogni possibilità di apertura verso l’esterno.
Personalmente non l'ho mai fatto, (ritengo che le presentazioni in libreria siano da organizzare quando sei un autore molto conosciuto, ma questo è un mio punto di vista e non vuol dire che chi lo fa si sbaglia), ma conosco molti autori che, dopo aver chiesto di poter presentare il proprio libro nella piccola libreria vicino casa, sono stati rifiutati e anche in maniera piuttosto scortese.
Se per scelta si decide di vendere solo titoli di nicchia e di guardare molti generi letterari dall’alto in basso, non c’è da stupirsi di non essere la bottega dei best-seller. Il negozio vende, ma è l’acquirente che decide. La regola base del mercato è studiare il bisogno del consumatore e fargli pervenire ciò che desidera, non provare a imporre quello che vogliamo vendergli noi. Per quanto riguarda i dati di vendita degli indie, non credo siano reperibili facilmente e, probabilmente, non sono nemmeno richiesti».

 

Decisamente articolata l’analisi di Gabriele Dolzadelli: «Partiamo dal presupposto che questi dati sono falsati già in partenza. Il titolo discorda con il contenuto (uno parla di 0 copie vendute, l'altro di 10) e il campione riguarda solo le librerie indipendenti, il che non aiuta affatto a dare un quadro Gabriele Dolzadelligenerale della situazione, anzi. Ma di questo si è già ampiamente parlato.
Che la situazione sia triste già lo si sapeva, ma bisognerebbe indagare a fondo anche sui motivi che portano a questo e non riguarda solo il calo dei lettori. Gli editori, anche piccoli, puntano più sui cartacei che sugli ebook, scoraggiando la vendita di questi ultimi con prezzi esorbitanti. Gli autori, quindi, per vendere qualche copia, devono basarsi quasi interamente su festival, presentazioni, fiere e librerie.
Solo che:
- i festival sono salotti, spesso dei soliti nomi;
- le librerie sono il più delle volte esclusiva dei grandi marchi;
- non tutte le case editrici possono permettersi una presenza massiccia alle fiere, soprattutto quelle più importanti.
Rimangono le presentazioni, da giocarsi in un mese o due, considerando che anche i piccoli editori si sono messi a produrre troppe opere e in breve si smette di essere novità seguite e promosse.
Quindi, anche se ci fossero più lettori, ci sarebbero delle difficoltà oggettive nel promuoversi e nel farsi notare.
Il discorso è molto diverso nel self. Perché hanno a disposizione il territorio inesplorato del digitale, per loro prateria fertile. Possono intercettare il proprio target in tutta Italia senza sottostare ai meccanismi e alle regole dell'editoria. Quindi, quando lavorano bene, è più difficile vendere poco rispetto ai colleghi dell'editoria tradizionale. Non a caso ho conosciuto più scrittori che vivono di scrittura nel self che dall'altro lato della barricata».

 

Per Nicola Rocca «il vero problema è che molte persone fanno ancora confusione con il mondo del self publishing. Un self publisher non èNicola Rocca un individuo che si alza al mattino e pubblica un libro, bensì uno scrittore che si forma a poco a poco e decide di scrivere, pubblicare e promuovere un libro in maniera indipendente, seppur circondandosi da professionisti del settore, per far sì che il libro in questione attraversi tutti i passaggi necessari al fine di trasformarlo in un “prodotto” di alta qualità».

 

Concludo con Riccardo Bruni: «Secondo me sono dati privi di senso, buoni per fare qualche titolo a effetto ma troppo parziali per indicare una tendenza. Sarebbe come dire che la gente non ascolta più musica perché non compra i cd nel negozio di dischi. La musica oggi è ovunque e in tanti formati. E questo consente ad artisti indipendenti di produrre la propria e fare milioni di ascolti e visualizzazioni. Ma siccome gli indipendenti vanno ognuno per conto proprio non hanno peso e i media tradizionali possono permettersi di far finta che non esistono e Riccardo Brunicontinuare invece a occuparsi di chi compra spazi pubblicitari. Sul fatto poi che ci sono libri che non vendono nemmeno una copia, questo non mi meraviglia. Perché il libro per molti è ancora uno status symbol molto efficace per darsi un tono. Lo scrittore fighetto scrive il suo romanzo per l’editore fighetto, vanno insieme al festival fighetto e magari ci scappa anche la recensione dell’amico scrittore (fighetto anche lui). Tutti hanno la propria fetta di visibilità e se il libro non vende pazienza. Potrebbe anche avere solo la copertina e tutte le pagine bianche. Anzi, in alcuni casi sarebbe anche meglio se fosse così. Ci sarebbero tante altre cose da dire, per esempio sul ruolo che blog, freelance e riviste indipendenti potrebbero avere, ma il discorso si farebbe lungo. Aggiungo solo che se le politiche a sostegno dei libri sono il divieto di fare sconti, se non sbaglio il ministro era Franceschini, il quadro non può che peggiorare».
Marinella Zetti