Decadenza di un Premio

 

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Annotazioni di un’insonne nella notte successiva all’assegnazione del Premio Strega 2014.

 

Prima o poi, ciclicamente una notte d’insonnia capita, ci sta nell’economia di un essere umano.

Ma se causa di questo disagio è la serata conclusiva e la premiazione di quello che nell’ambiente viene considerato “il premio letterario più importante d’Italia”, allora o io sono molto delicata oppure qualcosa nella serata non è andato nel verso giusto.

Ed è la seconda ipotesi quella che senza alcun dubbio ha scatenato la mia insonnia.

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Già c’è da domandarsi come mai la cronaca della serata -dal ninfeo di Villa Giulia, in Roma- sia stata curata e trasmessa da RAI 3. Un tempo era appannaggio di RAI 1, il canale più importante della televisione di Stato. Ed un tempo a condurre la trasmissione c’erano fior di giornalisti, preparati quantomeno, che i libri della famosa Cinquina li avevano letti per davvero e ne parlavano con proprietà sia al pubblico dei telespettatori sia con gli autori, nelle interviste che vivacizzavano la serata. Una serata in realtà squallidissima sia per chi partecipa alla celebrazione del rituale direttamente dalla villa romana sia per chi vi assiste dal teleschermo.

Qualche anno fa anche a me è capitato di essere tra il pubblico seduto in quel ninfeo e posso testimoniarvi che ne uscii immalinconita, e non poco. Un’esibizione pleonastica, un’uscita all’aperto dello stesso assortimento umano che popola quei famosi “salotti della cultura” che per una vita ho sfuggito, ma che sono -senz’altra possibilità- la frequentazione indispensabile per un autore che vuole arrivare ad avere considerazione in questo Paese dei corrotti e delle corruttele.

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Richiamati come orsi su un favo di miele, coloro che si raccolgono in quel parterre, sono lì solo per mostrare al resto dei “colti e acculturati” di esserci. Incontrano, sorridono e soprattutto chiacchierano. Un cicaleccio fastidioso e continuo che riesce persino a coprire la voce microfonata di chi snocciola lo spoglio dei voti.

Non c’è, per il pubblico intervenuto, alcuna presentazione degli autori in gara né dei loro libri. Si dà per scontato che quelle persone, la crème dei salotti romani, sia già più che informata e sia lì solo per l’emozione della gara.

Un’emozione che in realtà non c’è. Già si conosceva il nome di chi avrebbe vinto e per i più distratti è bastato leggere sulla lavagna i numeri risultati dal primo step dello scrutinio. Fino alla fine nulla è mutato.

Ma quello che il telecronista di RAI 3 ha definito “il rito” doveva proseguire almeno per un’altra ora, quindi sorrisi e chiacchiere, e presenziare con pazienza sino alla fine.

Intermezzo autobiografico

Quando da adolescente seguii per la prima volta in tv il Premio Strega -c’erano ancora Maria Bellonci e  Guido Alberti, e nel parterre sedevano scrittori del calibro di un Moravia e di un Pasolini…- mi emozionai per davvero. A quel tempo io ero già una lettrice onnivora e bulimica, ma prediligevo la Letteratura straniera. Ero innamorata di Thomas Mann e del suo Doctor Faustus, di Virginia Woolf e di Francis Scott Fitzgerald, ma poi adoravo Albert Camus e Jean Paul Sartre e la sua Nausea. Ero affascinata dalle atmosfere nelle quali quelle scritture mi portavano, mi specchiavo nel loro Mal de vivre e mi sentivo straniera nella cultura della nazione nella quale ero nata.

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Così, come una falena sorpresa da una luce improvvisa, rimasi abbagliata da quel mio primo contatto con il Premio Strega e cercai di scrollarmi di dosso quell’esterofilia della lettura che forse avevo perseguito per ignoranza della Letteratura patria. Così, per diversi anni, acquistai e lessi con scolastico impegno i libri delle celebri Cinquine, sforzandomi di apprezzarne il valore letterario tanto incensato da recensori ed estimatori di Terza Pagina, ma per me incomprensibili.

Con gli anni appresi dei “meccanismi” che alimentavano la Cultura italiana, del valore imprescindibile di quei salotti romani e non, e imparai a valutare in quei contesti anche il lavoro della maggior parte delle nostrane case editrici.maria-bellonci cesare-paves

A conclusione di questo doloroso percorso conoscitivo, mi capitò un invito a Villa Giulia per la serata del Premio Strega. Allora lavoravo per una catena di librerie indipendenti e con quella maschera ero conosciuta e fui accolta nell’ambiente. Così ebbi modo di impegnare le mie chiacchiere con Igor Mann e Susanna Agnelli, con Alberto Bevilacqua, dalle cui tentacolari avances feci fatica a liberarmi, e altri, molti altri attori di ruolo e figuranti di quel rito che tanto aveva colpito la mia immaginazione adolescenziale.

Sono gli occhi smaliziati di una donna adulta quelli che hanno assistito ieri sera alla replica stantia e vuota di quel rito, e non c’era in me più alcuna traccia né di emozione né di curiosità. L’ho guardato proprio come si compie un rito, quello di cercare un frammento di me stessa, ricordare il tempo irrimediabilmente perduto.

Morta la Bellonci, morto Alberti, e Bevilacqua e Igor Man e persino l’Agnelli, mi domandavo: chi erano i nuovi attori di quei salotti? E magari, in fondo ma proprio in fondo, speravo di assistere a un cambiamento, finalmente a un exploit di qualcosa di veramente culturale.

Ingenua, ingenua e illusa.

Fine dell’intermezzo personale

 

Le ragioni della serata, se non quelle di farsi lustro per una Cultura che non è neanche più agonizzante e di mettersi in mostra delle solite case editrici accreditate, erano così evidenti da consegnarci alla nausea e alla ripugnanza per tutto il bailamme orchestrato.

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Il giornalista, incaricato da RAI 3 di intervistare gli autori, ad ogni domanda che rivolgeva sembrava aver letto romanzi diversi da quelli in gara, e puntualmente le sue interpretazioni erano negate dagli scrittori.

Scrittori rassegnati alla farsa, dei quali già si conosceva dal principio il vincitore, ma che per contratto editoriale accettavano nervosamente di sottomettersi a quella commedia.

E della lettura degli Incipit ne vogliamo parlare? Viene voglia di chiedersi a chi, nella redazione culturale RAI, è venuta l’idea… Si sono presi i vincitori delle precedenti edizioni dello Strega e, sul Web, si sono messi al voto delle preferenze popolari. I vincitori poi sono stati consegnati a un meccanico, a una fruttivendola, a un elettrotecnico, ecc. perché dai loro luoghi di lavoro (e quindi circondati da scenografie pseduo-realiste) ne leggessero ai telespettatori gli Incipit. Con quale scopo?

Se l’idea fulminante era quella di trasmettere una specie di contagiosa passione per la lettura a tutti i livelli sociali, preferibilmente daelsa-morante un’ottica classista [visto che i lavoratori preposti alla lettura sembravano gridare proprio questo: guardami, io sono una fruttivendola, eppure nel mio negozio mi armo di un leggio e leggo Umberto Eco! Puoi farlo anche tu tra una signora che ti chiede un etto di vitella e due di macinato magro…], direi -senza alcun dubbio- che l’idea è naufragata miseramente.

Nel parterre del Ninfeo di Villa Giulia abbiamo intravisto davvero pochi volti illustri (o presunti tali), e tra questi l’inviata, che faceva da spalla al giornalista dedicato agli scrittori, ha ignorato il Ministro della Cultura, certo Dario Franceschini, per intervistare il sindaco della Capitale, certo Ignazio Marino. Un medico capitato in politica pare per caso e altrettanto per caso capitato in quel consesso di salottieri, che come amministratore della città ha esordito rivendicando per Roma il ruolo di caput mundi della cultura ed ha concluso, in modo persino più improbabile, raccontando la favola bella della sua attenzione alla lettura e dell’impulso che ad essa conta di dare.

Come?

Non è dato saperlo, ma si sa certe frasi di circostanza sono d’obbligo per un politico (o aspirante tale) cui si affida il ruolo di rappresentare le Istituzioni. Continuo a chiedermi le ragioni del silenzio di Franceschini, ma senza trovarne alcuna in grado di prevalere su altre, su quelle messe in giro dalle solite malelingue.

Insomma, alla fine, quando finalmente si erano consumati i tempi stabiliti per la diretta RAI, il presidente della giuria, Walter Siti, [dopo aver candidamente confessato che i risultati dello scrutinio erano noti già da oltre un quarto d’ora] ha dato lettura del nome del vincitore, certo Francesco Piccolo per la cronaca.francesco-piccolo

Del suo brutto romanzo [se così vogliamo chiamarlo, ma forse dovremmo scegliere una definizione più coerente…] vi risparmio la recensione, ne avrete già lette a iosa e altrettante ne troverete nei prossimi giorni. Io preciso solo che più che un romanzo a me è parsa un’autobiografia furbetta, che strizzava l’occhio all’anniversario della morte di Berlinguer e a quella parte della Sinistra orfana e sconfitta. Nulla a che fare con la Letteratura, neanche con quella bassa, figurarci con quella alta, quella da Premio Strega… Quello che un tempo aveva visto sfilare davanti al pubblico del famoso Ninfeo, scrittori come Bassani, Moravia, Tomasi di Lampedusa, Buzzati, Ginzburg, Landolfi, Morante, Flaiano, Pavese, Ortese, Piovene, e… mi perdonino le innominate e i dimenticati, per l’elenco completo c’è wikipedia, dove avrete modo di verificare la Decadenza di un Premio.
Flaminia P. Mancinelli

 

 

 

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